LA STORIA

 ORIGINI

La fondazione di Briatico è per tradizione fatta risalire ai Locresi, al tempo del loro passaggio a Hipponion;Le prime testimonianze certe sull’esistenza di Briatico risalgono al XII secolo quando Ruggero il Normanno, in una bolla riguardante la fondazione della diocesi di Mileto, accennò al piccolo centro di Euriatikon (l’attuale Briatico). La stessa denominazione fu poi riportata in dieci pergamene compilate tra il 1130 e il 1271. In questi documenti si legge che nel 1276 il territorio di Euriatikon si estendeva dal fiume Trainiti al fiume Potame, comprendendo ben ventidue borgate. Il toponimo Briatico si riscontra, comunque, anche nel XIII secolo accanto a quello di Euriatikon. Durante il periodo feudale la cittadina passò sotto vari domini. Niccolo de Trayna l’ebbe nel 1269 dal re Carlo I d’Angiò e la tenne fino alla morte avvenuta intorno al 1278. Fu poi la volta di Adamo d’Elmis (fino al 1304) a cui seguirono Gilberto de Santillis, Leone da Reggio, gran siniscalco del Regno di Napoli, e sua figlia Sibilla che, andata in sposa a Pietro III Ruffo conte di Catanzaro, gli portò in dote alcuni feudi tra cui Briatico. Ai Ruffo di Catanzaro restò fino al 1404 quando, per le ribellioni al sovrano, Nicolo Ruffo fu spodestato da re Ladislao che vendette Briatico a Rinaldo d’Aquino barone di Castiglione. Nel corso dell’ultimo secolo del Medioevo numerosi furono i mutamenti nella signoria su Briatico. Dai d’Aquino il borgo andò ai Ruffo di Montalto per passare, poi, a Marino Marzano (per successione materna) che lo ebbe fino al 1464 e, successivamente, a suo genero Leonardo di Tocco che lo detenne per soli tre anni. Il 1494, data riportata sotto lo stemma cittadino in cifre romane, è l’anno in cui Briatico diventerà città libera, governata da un sindaco. Ma già nel 1496 il feudo fu concesso agli spagnoli de Castro Bisbal che vi ottennero il titolo di conti. Con loro iniziò un periodo di maggiore stabilità del dominio che si protrasse fino alla fine del Cinquecento, quando estinta questa casata il feudo passò con ai Pignatelli di Monteleone, famiglia che governò su Briatico fino all’eversione della feudalità (1806). Durante questi lunghi anni il paese fu scosso da tre terribili terremoti. Il 17 marzo del 1638 il sisma provocò ingenti danni alle abitazioni e lo stesso accadde il 5 e il 6 novembre di ventuno anni dopo (1659). Ma quello del 5 febbraio 1783 non lasciò scampo: la città fu rasa al suolo, le case completamente distrutte, e vi furono innumerevoli vittime. Con coraggio, però, il 4 aprile dello stesso anno i 925 sopravvissuti si riunirono sulla spiaggia nei pressi della torretta di avvistamento, oggi detta “la Rocchetta”. Durante l’assemblea presieduta da Luigi Lieto, giudice della città, gli abitanti proposero di ricostruire il centro abitato in contrada S. Giovanni (detta anche Cocca), proprietà del duca Ettore Maria Pignatelli. Quest’ultimo, senza esitazioni, fece abbattere una gran parte delle vigne che si estendevano sulla contrada per rendere edificabile la zona. Ordinò, inoltre, la costruzione di otto baracconi destinati alle famiglie più povere e fornì il materiale per l’edificazione delle case. I tecnici progettarono una pianta ortogonale orientando gli apici della città verso i punti cardinali. Tecnica pensata per evitare altri disastri in caso di terremoto. Nonostante le difficoltà Briatico fu ricostruita più grande e più forte di prima. Nel 1812, infatti, divenne capoluogo di circondario con giurisdizione su Triparni e Vena Superiore. Nel 1816 anche su Zungri. Il mandamento fu poi soppresso il 30 marzo del 1890. Un altro violento terremoto nel 1905, però, mise a dura prova Briatico, causando ancora danni e paura.

 ARCHEOLOGIA

Di Briatico Vecchio, che sorgeva su un colle alla destra della fiumara Murria, distrutto dal sisma del 1783, rimangono i ruderi del Castello medievale fatto edificare da Ferdinando Bisbal e dell’antico centro abitato, che all’epoca contava 12 chiese, 3 conventi e aveva un’enorme importanza storico-culturale. Sulla spiaggia restano solo due delle 5 Torri del sistema difensivo antiturco:
la Rocchetta, alta torre di vedetta costiera a pianta pentagonale, costruita in origine dai greci, ricostruita dai romani, venne rimaneggiata in epoca medievale; Torre Sant’Irene, eretta dal governo vice Reale Spagnolo a vedetta contro le incursioni barbaresche.
Sono stati trovati resti di epoca preistorica come terracotte, nonché altri utensili in selce ed ossidiana, un vaso con dentro resti umani ed un ricco corredo comprendente un pendente di cristallo in rocca, grani di ambra ed uno di corniola con delle incisioni. Si tratterebbe di un insediamento umano risalente all’età del rame. Poi anche necropoli romane di età imperiale e avanzi di un complesso edilizio (forse terme) anch’essi di età imperiali. Lungo la valle del Murria vi sono grotte eremitiche medievali, alcune delle quali denominate “Grotte delle fate”. Del Convento dei Padri Domenicani fondato nel 1498 e della chiesetta di Santa Maria del Franco di età normanna (sec. XI) distrutti dal terremoto del 1783, rimangono poche vestigia. Della chiesa di Santa Maria del Franco è la statua della compatrona di Briatico, la Madonna Immacolata (anticamente S. Maria del Ginocchio), statua spagnola seicentesca di meravigliosa fattura. Dal duomo di San Nicola, anch’esso ormai rudere, viene invece la bellissima tela di San Nicola dipinta nel ‘600 da Tommaso di Florio, pittore vibonese, e un crocefisso quattrocentesco. Tutte queste opere sono oggi conservate nella Chiesa Matrice dedicata al patrono san Nicola.

 LA CHIESA MATRICE

Costruita, dopo il terremoto del 1783, secondo il progetto dell’ingegnere Giuseppe Vinci, in origine si presentava in stile Barocco, con finiture nello stesso stile, sfoggiando sei maestose Cappelle laterali, una torre campanaria all’angolo Sud della facciata ed una torre dell’orologio all’angolo Nord. L’altare maggiore, dedicato alla SS. Vergine Immacolata, era sormontato da sei colonne, tre per ogni lato, su ognuna delle quali si poteva ammirare una statua diversa. Le sei Cappelle laterali offrivano allo sguardo lo spettacolo degli altari dedicati alla Madonna del Rosario, alla Madonna delle Grazie, al SS. Crocifisso, al “miracolo del Mattone”,che simboleggiava l’unità e trinità di Dio, a San Francesco di Paola e alle anime del Purgatorio. Successivamente l’altare della Madonna del Rosario venne dedicato alla SS. Vergine Addolorata, e quello del Miracolo del Mattone alla Madonna del Rosario, la cui sacra immagine in passato veniva portata in processione il giorno della Candelora, mentre oggi si porta in processione durante l’Affruntata di Pasqua. Un ottavo altare, infine, venne innalzato nel vano opposto alla sacrestia e dedicato a Santa Filomena, la cui immagine fu distrutta intorno all’inizio del ‘900. In questo stesso periodo l’Antica Chiesa Madre fu demolita, sia per motivi di sicurezza, dati i danni subiti in seguito ai terremoti del 1905 e del 1908, che per motivi di dimensione, in quanto non era abbastanza capiente per poter ospitare il sempre più crescente numero di abitanti). Al suo posto nel 1930 fu costruita l’attuale Chiesa Madre, per il cui progetto si prese in considerazione lo stile architettonico neoclassico, con una facciata su due livelli ed un terzo livello ribassato, due torri campanarie ed un rosone centrale a sovrastare il portale della Chiesa. All’interno appariva come la si può osservare oggi: pianta longitudinale priva di transetto, archi con paraste dal capitello ionico e presbiterio terminante con un altare a muro in stile barocco. Il restauro del 1985, ne ha modificato sostanzialmente la facciata, ingrandendo la cella campanaria, spostata al terzo livello, e occludendo la precedente cella campanaria con nicchie. Anche l’altare è stato ricostruito con elementi architettonici più semplici rispetto a quelli originari. Il soffitto attuale è, invece, il risultato del restauro effettuato nel 2002. Al suo interno è possibile ammirare la pregevole statua lignea della Madonna Immacolata, proveniente da Briatico vecchia, fu ritrovata, miracolosamente intatta, sotto una siepe che aveva ricoperto la perduta chiesa della Madonna del ginocchio. Scultura lignea di scuola napoletana di pregevole fattura risalente alla metà del XVII secolo, interamente ricavata da un unico blocco di legno di tiglio e finemente decorata con la particolare tecnica di doratura detta estofada di chiara importazione catalana. L’attuale sistemazione è frutto del robusto restauro a cui la chiesa è stata sottoposta nel 2019 in seguito al quale è stato ridisegnato l’ingresso che ora appare arricchito da una imponente vetrata. L’interno, sostanzialmente, ha mantenuto l’assetto originario eccezione fatta per la sagrestia di sinistra. Nella navata sinistra prende posto un fonte battesimale in marmo mentre sulla parete di fondo campeggia una pala d’altare, opera del pittore contemporaneo Yuriy Kuku, raffigurante il Battesimo di Gesù. Sempre sullo stesso lato è possibile ammirare, tra le altre, la statua di San Nicola di Bari, compatrono del paese, opera di Michele Amato il quale, attivo nel corso della seconda metà dell’Ottocento, fu uno degli statuari serresi più capaci, autore di molte importanti opere lignee che nel realizzare la sua opera dovette sicuramente trarre ispirazione dalla maestosa pala d’altare raffigurante il medesimo santo. Da notare la forte rassomiglianza tra la figura scolpita e quella dipinta del santo. La statua risale presumibilmente al 1869 mentre il quadro è databile al 1624 ed è opera del pittore vibonese Tommaso De Florio (1613 – 1675) la cui pittura risente dell’influenza di Luca Giordano di cui presumibilmente ne fu allievo.

LA ROCCHETTA

La Rocchetta di Briatico è una alta torre di vedetta costiera la cui costruzione si inquadra nel più generale piano militare di difesa del territorio costiero del Regno di Napoli dal pericolo delle incursioni turco-barbaresche. Piano che si attuò con sistematicità a partire dal 1563 con le ordinanze del viceré Parafan de Ribera, duca d’Alcalá, per la costruzione di torri lungo i litorali del Regno, e in Calabria Ultra a partire dal 1564. La fortificazione, isolata sul suo scoglio, si ergeva a controllo e difesa dell’intensa attività di scambi commerciali, che avveniva in questo tratto di litorale soprattutto via mare e a protezione delle diverse manifatture come le industrie del vetro, del sapone che in quel periodo sorgevano nelle aree limitrofe, ed i molini feudali che servivano tutta la zona per la macinazione del grano e di altri cereali. Le più antiche attestazioni della fortificazione risalgono alla fine del XVI secolo, ma il sito reca tracce di frequentazione antica. Nel 1594 la torre risulta in costruzione, probabilmente per successive addizioni alla conformazione originaria a base quadrata, che tuttavia sono completate entro il 1597, come risulta dalla veduta del Codice Romano Carratelli. La Rocchetta rappresenta l’ultima di un complesso di cinque torri di avvistamento dislocate nel territorio vibonese. La singolarità della struttura risiede non solo nella sua pianta pentagonale, frutto di un ampliamenti successivi, che la distingue dagli altri bastioni solitamente a pianta rotonda o quadrata, ma anche nell’essere una fortificazione dedicata non soltanto all’avvistamento, al controllo e alla difesa, ma utilizzata come deposito per la conservazione di derrate e come opificio per la produzione dello zucchero o per la lavorazione della mortella, oltre che a residenza ubicata direttamente sulla spiaggia o comunque nelle immediate vicinanze dal mare e non su un’altura o in una zona interna come logica e tradizione vorrebbero. Queste particolarità la resero degna di nota anche in epoca medioevale. Un notaio napoletano, Pietro Gallerano, nel XVII secolo la definiva come “una fortezza nell’acqua che aveva ponti levatoi”.